27 Apr. 2018
Autore Salvatore De Vita
Una recente sentenza della Cassazione riapre il dibattito sulla legittimazione processuale del fiduciante ad agire per danni subiti nei confronti del terzo
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INQUADRIAMO L’ARGOMENTO
Nell’ambito del più ampio tema della responsabilità civile della fiduciaria, un aspetto di grande attualità, che ad oggi ancora divide dottrina e giurisprudenza, è quello che attiene alla legittimazione ad agire nei confronti di un terzo con il quale la fiduciaria intrattiene un rapporto per conto di proprio fiduciante, nell’eventualità di asseriti danni riportati dallo stesso per fatto ascrivibile ad un comportamento del terzo: basti pensare ad una società fiduciariamente partecipata che non approva il bilancio, causando così un danno al fiduciante.
Le ricostruzioni più accreditate in dottrina e giurisprudenza sono partite dall’inquadramento del mandato fiduciario quale “contratto atipico” riconducibile al mandato senza rappresentanza, ex art 1705 del Codice Civile, laddove al secondo comma prevede, inter alia, che “… il mandante [ndr fiduciante] sostituendosi al mandatario [ndr fiduciario], può esercitare i diritti di credito derivanti dall’esecuzione del mandato, salvo che ciò possa pregiudicare i diritti attribuiti al mandatario ...”
ORIENTAMENTI PREVALENTI
In riferimento alla interpretazione del dettato normativo sopra riportato si registrano due orientamenti:
UN DIBATTITO APERTO E IN COSTANTE EVOLUZIONE
Sul tema era intervenuta la Corte di Cassazione a Sezioni Unite che, risolvendo il conflitto interpretativo circa il disposto dell’art. 1705, comma 2, c.c., disciplinante il contratto di mandato senza rappresentanza, in riferimento alla definizione di “crediti” ivi prevista, con la Sentenza dell’8 ottobre 2008, n. 24772 ha formulato un principio di diritto in senso favorevole all’indirizzo interpretativo più restrittivo, circoscrivendo l’espressione “diritti di credito” al solo esercizio “fisiologico” dei diritti sostanziali acquistati dal mandatario, con conseguente esclusione delle azioni poste a loro tutela (annullamento, risoluzione, rescissione, risarcimento).
Degne di nota sono al riguardo le tesi di quella parte della dottrina che partendo da un approccio metodologico di tipo processuale civilistico, giungono a conclusioni diverse da quelle a cui sono pervenuti i giudici della Suprema Corte.
Tali autori pongono l’attenzione sull’art. 81 del Codice di Procedura Civile laddove dispone che, “Fuori dai casi espressamente previsti dalla legge, nessuno può far valere nel processo in nome proprio un diritto altrui”.
Tale disposizione contrasterebbe con la sopra richiamata massima giurisprudenziale, enunciata dalla Corte di Cassazione, laddove applicata al mandato fiduciario, rendendola di fatto proceduralmente inapplicabile.
In estrema sintesi, per questi autori, l’art 81 c.p.c. renderebbe “tecnicamente” impossibile per la fiduciaria di intentare un giudizio ad un terzo per conto di proprio fiduciante.
Vanno in questa direzione anche decisioni assunte da alcuni tribunali di merito (Tribunale di Roma 30 luglio 2014, n 16534) che, affermando la peculiarità del rapporto fiduciario rispetto ad un mandato civilistico tout court ex art 1705 C.C., danno prevalenza all’aspetto sostanziale della proprietà in capo al fiduciante su quello formale ed apparente della intestazione fiduciaria, conformemente ad una interpretazione del “pactum fiduciae” di tipo germanistico.
LA RECENTE SVOLTA IN GIURISPRUDENZA
Tale orientamento viene suggellato da una recentissima decisione della Corte di Cassazione, la n.3656 del 14 febbraio 2018. Chiamatasi a pronunciare sul caso di un socio detenente quote di una S.r.l. per il tramite di società fiduciaria, il quale si era visto annullare le sue azioni a fronte di una situazione patrimoniale falsamente redatta dall’organo amministrativo, la Suprema Corte ammette l’azione di responsabilità ex art 2395 c.c. intentata direttamente dal fiduciante nei confronti degli amministratori.
Di rilievo le osservazioni riportate in sentenza circa la natura del mandato fiduciario con intestazione (senza rappresentanza) e la conseguente legittimazione del fiduciante ad agire in giudizio: l’intestazione fiduciaria si realizzerebbe per il tramite di due negozi giuridici, uno “esterno”, avente efficacia verso i terzi, l’altro di natura obbligatoria, efficace solo tra fiduciante e fiduciario e diretto a modificare il risultato del primo negozio. Ne deriva che la posizione di titolarità del bene in capo alla società fiduciaria è meramente strumentale al suo ritrasferimento in capo al fiduciante che sarebbe così legittimato ad esperire l’azione individuale di risarcimento ex art 2395 del codice civile.
PER CONCLUDERE
E’ evidente come questi ultimi sviluppi riaccendano il dibattito su un tema di grande interesse per le società fiduciarie. Sicuramente la recente sentenza della Corte di Cassazione, che tra l’altro fa propri gli sviluppi già emersi da parte di alcuni tribunali di merito, appare essere maggiormente aderente alla quotidiana realtà ed alle concrete esigenze emerse nel corso degli ultimi anni.
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